Chiunque governerà Orvieto dovrebbe essere cosciente di quello che qualche tempo fa ci diceva, in un suo editoriale, Rodolfo Ricci. Lui, presidente della Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione, lo diceva da sinistra parlando a suo modo di trasversalità, ma vale per tutti, anche per chi sta al centro o a destra: la comunità orvietana, come tutte le altre comunità territoriali, “dovrà attraversare un deserto lungo 20 anni… che imporrà la riduzione ulteriore di diritti, di reddito, di lavoro… Non è possibile opporsi, da Orvieto, a dinamiche galattiche, ma è invece possibile individuare diverse strategie di difesa, di contenimento, di resistenza a queste pressioni. È cioè possibile portare avanti pratiche di solidarietà, di mutuo soccorso, di rafforzamento del tessuto sociale interno e di costruzione di relazioni con altri territori nazionali e internazionali, che consentano di minimizzare gli effetti della crisi imposta dalle attuali politiche e di aprire spazi alternativi di produzione e di scambio di merci, servizi, cultura. Nuovo lavoro, nuova solidarietà, e, ciò che anche conta, nuova finanza. Per fare questo è indispensabile mettere in campo tutte le competenze, le energie umane e le risorse disponibili, innanzitutto a livello locale (ivi inclusa la nostra grande banca locale), e porsi come punto di riferimento per partnership con l’esterno. È ovvio che questa cosa non la fa la nuova amministrazione da sola, ma la fa la nuova comunità per sé, con un processo di partecipazione ampio e costituente. La nuova amministrazione deve essere l’elemento di garanzia affinché questo processo possa andare avanti all’interno di regole condivise con gli attori disponibili. Ciò che si può fare nel contesto dato, è solo la valorizzazione di ciò che già si ha a disposizione. Ciò che non si ha, non ci arriverà dall’esterno”.
Chi governerà, dunque – chiunque sia – dovrà avere il coraggio di pratiche nuove e deburocratizzanti, dovrà essere capace di instaurare pratiche concrete di lavoro e di relazione: dovrà governare, ad esempio, come ha governato dal 1991 al 2004 la sindaca di Ostiglia, Graziella Borsatti, che ha costituito un caso di buona e diversa politica non abbastanza esplorato dai governanti. E ancor più lo penso dopo aver ascoltato, ieri 6 maggio, l’autorevole e appassionante testimonianza che ha portato qui a Orvieto a sostegno della mia candidatura, in una Sala del Governatore affollata e emozionata dalla sua ardente autenticità.
La sua storia è raccontata, insieme a quella di figure storiche autorevolissime, nell’ultimo libro – politico – della filosofa Annarosa Buttarelli, “Sovrane”. Borsatti, comunista figlia di padre comunista, fu eletta sindaca di Ostiglia, un comune di 10 mila abitanti in provincia di Mantova, nel 1991, mantenendo la carica fino al 2004. La sua giunta era formata da quattro donne, di cui una vicesindaca, e tre uomini: una giunta anomala, in cui, per il coraggio della sindaca, si trovavano insieme donne e uomini di estrazioni politiche normalmente divergenti, ad esempio comunisti ed ex democristiani. Rimandando chi volesse approfondire al saggio che la riguarda e al libro di Buttarelli che, sebbene parli di donne, raccomando anche a chi fa politica da posizione maschile, riporto alcuni passaggi esemplari, che possono aiutare a comprendere come dovrebbe essere (e come a Ostiglia realmente “è stata”) la buona politica.
“La mia prima pratica – dice Graziella Borsatti – è stata quella di agire uno stretto legame tra parole, fatti e comportamenti, rifiutando l’uso improprio dei sostantivi… cominciavo a intravedere la strada del come e a lasciare quella del perché, soprattutto quando questa presuppone una specie di progettualità divina che trovo terribile applicare alla politica”. E ancora: “Non permettere lo scambio dei valori. Non si può parlare del ‘problema Casa’, si deve parlare di quelle persone che hanno il problema della casa: nel primo caso, in modo silenzioso e perverso gioca l’interesse per il mercato delle case, nel secondo entrano in luce le persone in carne e ossa che rendono difficile l’uso ideologico del problema.”
Con la sindaca Borsatti Ostiglia visse una stagione di buongoverno, in cui la rappresentanza dalle logiche dei partiti fu sostituita dalle pratiche di una comunità governante. Ogni azione era discussa e confrontata in giunta dagli assessori e dalle assessore, liberati dal dovere di dover chiedere il consenso ai partiti o a determinate lobby. Era chiara la pratica dell’assunzione soggettiva di responsabilità di fronte al paese, i cui abitanti erano talvolta chiamati a esprimersi in assemblea. I/le dipendenti del Comune erano coinvolti nei processi di scelta e di realizzazione con loro pareri e con informazioni sulle motivazioni delle scelte. I tempi di riunione erano notevolmente modificati e si evitava la polemica astratta. Memorabile, poi, il discorso agli atti della seduta consiliare del 7 novembre 1995, in cui la sindaca si svincolò definitivamente dagli apparati di partito e da certi metodi di potere che ancora oggi conosciamo:
” Io, Graziella Borsatti, sindaco pro tempore del Comune di Ostiglia, sono sindaca perché liberamente eletta dagli ostigliesi e dalle ostigliesi e non per farla pagare a qualcuno o per favorire altri… Vi invito perciò a fare davvero il vostro dovere di consiglieri. Non sono diventata sindaca all’interno di questo Consiglio. Qui invece, insieme a voi, ho riunito in maniera formale la mia elezione al programma di lavoro. Come per ogni delibera ci sono stati voti a favore, contrari e di astensione: comunque sia ogni volta che una delibera diventa esecutiva lo diventa a tutti gli effetti, diventa una delibera dell’intero consiglio comunale. Nessuno di voi può chiamarsi più fuori inscenando una guerra interna. Intendo disfare il potere senza rinunciare alla responsabilità politica… Le mie uniche fonti di senso sono le relazioni tra le persone e ciò che parla autorevolmente dentro di me… Sono in politica con la grande forza dei pensieri uniti alle parole e ai fatti: non cerco pretesti ideologici, non userò mai tutti i mezzi del potere… Voglio compiere un ultimo atto di chiarezza: da questo momento non avrò più tessera, qui sarò la sindaca di Ostiglia… tutto quantosarà fuori da questo unico impegno mi troverà solo in silenzioso e rispettoso ascolto. Da oggi in avanti sarò senza colore, ma non senza sesso”.
Così vorrei che governasse, così dovrebbe governare una futura sindaca (o anche un futuro sindaco) di Orvieto. Così si dovrebbe governare in questi nostri tempi duri e difficili. Forse qualcuno pensa che non è possibile, ma a Ostiglia è accaduto.