È in corso a Orvieto il Festival Valentiniano, la bella manifestazione diretta dal Maestro Carlo Frajese che, al suono delle esecuzioni di giovani musicisti talentuosi e sull’onda di interessanti conversazioni, traghetta dolcemente verso l’autunno l’estate orvietana. All’interno del Festival sono previsti, giovedì 20 e venerdì 21 settembre, due incontri con una personalità d’eccezione, Walter Branchi, nostro illustre concittadino che, offrendo di tanto in tanto doni di straordinario interesse e sapere, attraversa con gentile discrezione il frastuono e i protagonismi della rupe. Il mio motto – Vivere a Orvieto come fosse Parigi o New York – per Walter Branchi rappresenta, oltre che un’attitudine di pensiero, una costante esistenziale. Perché è proprio tra Orvieto e New York che ricorrentemente si muove, inseguendo la scia del suono o quella, non meno affascinante, della musica delle rose. Giacché è compositore – ha insegnato Composizione Musicale Elettronica presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma e, precedentemente, al Conservatorio “Gioacchino Rossini” di Pesaro – e, al tempo stesso, accorto e apprezzato rodologo. Le sue straordinarie rose, di vivace e bizzarra o di antica e lieve grazia, lo hanno reso noto non meno delle sue competenze tecnologico-musicali, e se ha scritto libri sulla tecnologia della musica elettronica, o sugli intervalli e sui sistemi di intonazione, non meno originali e stuzzicanti risultano i sui scritti sulle armoniche – o disarmoniche – tè, cinesi e noisette; e se ha insegnato a Princeton, a Standford e a Vancouver, è lui che ha creato un evento musicale ispirato dal giardino di Bellevue House a Newport (Rhode Island), e curato il magnifico roseto di Brooklin.
Da non perdere, dunque, compatibilmente con l’ora, la conversazione “Dal suono alla musica” (giovedì 20 settembre alle ore 10,30 nella Sala eufonica della Biblioteca Luigi Fumi) e, ancora più imperdibile e intrigante, l’evento al Chiostro di San Giovanni, previsto venerdì 21 settembre per le 19,00 e le 19,30. Un modo nuovo e diverso di vivere il mirabile spazio rinascimentale attribuito a Antonio da Sangallo – “Il chiostro di S. Giovanni attraverso le musiche di Walter Branchi” il titolo dell’incontro – in una mezzora che si preannuncia densa di significati e di coinvolgimento. Neanche l’ora, probabilmente, è casuale, e al pari degli altri elementi il crepuscolo giocherà di certo la sua parte.
“Con La mia musica voglio creare situazioni in cui gli ascoltatori possano sviluppare un rapporto emotivo con l’ambiente – afferma Walter Branchi – sperando che nel corso del tempo questo li porti a un sempre maggiore senso d’amore e responsabilità verso la Terra”. E evidenzia come il Chiostro di San Giovanni, strutturato su un impianto quadrato con cinque arcate per lato e con il suo pozzo centrale, comunichi, oltre alla bellezza e alla serenità provocate dalla sua assoluta simmetria, la singolare qualità della sua risonanza, percepibile anche da un orecchio poco esperto. “Il chiostro – aggiunge Branchi – agisce come una sorta di filtro che con le sue proporzioni architettoniche attenua o esalta i suoni provenienti dall’esterno, formando così un materiale sonoro ideale per essere parte della mia musica”.
Ma in cosa consiste la musica di Walter Branchi? O meglio, in che rapporto si pone con l’ascoltatore e con l’ambiente? Natura o architettura che sia, forma che converge, con altre forme e con diverse soggettività, verso un tutto unico, che non ha inizio e non ha fine. Vengono alla mente alcune sue affermazioni di indubbio interesse, e di saggio e profondo sapere antiaccademico. Che qualunque suono, indipendentemente dal generatore che lo produce, se suscita emozioni è musica, che la musica per emozionare non ha bisogno di essere romantica o contemporanea, africana o indiana, ma che basta una qual certa relazione tra almeno due suoni a provocare un’emozione, quell’emozione che rende i suoni musica.
A suo stesso dire, l’elemento caratterizzante della sua musica è quello di essere sistemica, e dunque contrassegnata sia dalle relazioni che formano il suo interno sia da quelle con il suo esterno. Fatto che permette di considerarla aperta o chiusa a seconda del contesto in cui la si ascolta, che può essere attivo o passivo. E il contesto in cui si fruisce della musica ha grande importanza, e altrettanto significativa è la relazione che l’ascoltatore stabilisce con l’ambiente.
“Un ambiente o un paesaggio sonoro – afferma Branchi – viene accuratamente selezionato perché possa musicalmente collaborare, perché ci possa essere un buon accordo tra l’interno e l’esterno della musica. È proprio questo accordo che crea uno spazio in cui l’ascoltatore si trova attivamente immerso. Dobbiamo pensare che l’ascolto diretto della musica è una cosa totalmente artificiale; questo avviene soltanto in cuffia. Normalmente la si ascolta in un luogo, al chiuso o all’aperto, e allora le sue caratteristiche fisico-ambientali contribuiscono sensibilmente al risultato finale. Non esistono luoghi totalmente neutri. Persino le sale da concerto più famose o i grandi teatri lirici aggiungono o tolgono qualcosa alla musica. Inoltre, e questo ritengo sia importante, una musica che afferma è narrante e per questo richiede attenzione verso se stessa: sta narrando. Per converso, quando non è narrante, senza storie da raccontare, l’attenzione si sposta verso la relazione che essa ha con l’ambiente che la circonda, in cui anche l’ascoltatore è immerso”.
Sull’ascolto Walter Branchi insiste molto, e non soltanto per quel che riguarda la musica. “Che interesse può avere il fatto che in una composizione si sia impiegata una tecnica o un’altra – sottolinea – quando non c’è più chi l’ascolta?Ascoltare sembra la cosa più naturale che ci sia, ma non è così. Credo siano veramente poche le persone che lo sanno fare. Mettersi all’ascolto attivo, e questo vale non soltanto per la musica, significa disporsi a condividere tensioni, emozioni e sentimenti con la musica e con il mondo. Ciò deve essere fatto con attenzione e concentrazione. Il vero ascolto non è mediato da filtri culturali o idee preconcette, il vero ascolto è sempre nuovo perché non condizionato dal già acquisito. Quindi ascoltare è fluire direttamente nello stesso fluire delle cose”.
“L’ascolto è un modo formidabile per conoscere e per metterci in relazione con il mondo, – continua – imparare che esistono altri modi per ascoltare, oltre quello che pratichiamo con la musica tradizionale, amplia il nostro rapporto con ciò che ci circonda. Ma c’è anche un’altra ragione più musicale. I miei lavori, per come sono concepiti, hanno la possibilità di accogliere la vita che esiste al loro esterno, e non soltanto quella sonora, sotto forma di scambio continuo: la musica entra a far parte dell’ambiente e viceversa e per cogliere questo occorre saper ascoltare in modo integrale”. E su questa onda Walter Branchi arriva, per la sua musica, al concetto di “Intero”.
“Intero – scrive – è l’insieme di tutte le mie composizioni a partire dal 1980. Ogni composizione, pur avendo un suo titolo, è parte dello stesso intero- sistema, è come una diversa espressione di una medesima persona. Penso la mia musica come un’unica grande composizione formata da diverse parti isolabili, ma non isolate. Penso ad un intero che occuperà tutta la mia vita per essere realizzato e certamente non completato. Un canto infinito dove ogni parte, contenuta nell’intero e che questo contiene, ha vita sia singolarmente sia in successione o contemporaneamente alle altre. Penso a un contributo, a una musica delle musiche dove ogni intero è parte di un intero sempre più grande.”
“Scrivo una musica
non invasiva, non dominante.
È come un fiore in un campo,
un albero in un giardino, un cigno in uno specchio d’acqua e
come il fiore, l’albero, il cigno,
vive nella moltitudine delle cose”.
Non meraviglia che, nella moltitudine di tutte le cose, Walter Branchi arrivi all’infinita, isolabile ma non isolata, stupefacente moltitudine sistemica delle effimere, sistemicamente eterne, rose.
Per maggiori notizie su Walter Branchi e la sua musica www.walter-branchi.com