Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Questa celebre lirica del Canzoniere di Umberto Saba – una delle più note e anche delle più belle – può essere considerata, nella sua armonica icastica brevità, la più potente e completa dichiarazione di poetica dello scrittore triestino: rivolta al senso e allo stile del verseggiare, al mestiere di chi scrive e all’ascolto di ogni ipotetico lettore. L’incantevole, tutt’altro che semplice composizione, perfettamente architettata e densa di significati, non può non venire in mente, a chi abbia praticato e continui a praticare la parola del grande poeta, entrando a Palazzo Isimbardi di Milano nella ricostruzione della Libreria Antiquaria Umberto Saba, i cui locali originali si aprono, a Trieste, in Via San Nicolò 30. Proposta, nel bel palazzo storico della ex Provincia di Milano (oggi Città Metropolitana), per il progetto Expo Belle Arti promosso dal Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e curato da Vittorio Sgarbi in quanto critico e ambasciatore per le Belle Arti di Regione Lombardia, la riproduzione della Libreria Saba sembra raccogliere e rilanciare, infatti, la “buona carta” lasciata dal poeta alla fine – e al fine – del suo gioco, che in questo caso diventa, oltre che una nobile e rigorosa sfida poetica, il gioco vincente dell’idea creativa della riproposizione del doppio, e un divertissement sapiente di oggetti, volumi e spazi.
Con una duplicazione che fa quasi pensare alla paziente copiatura dei libri d’ore, ma anche a certe veloci pratiche tecnologiche moderne, l’idea di Vittorio Sgarbi si configura davvero come un nobile gioco, che non si è limitato alla ricostruzione della libreria di Saba e della biblioteca di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma che vi ha assemblato intorno, nella totalità del progetto allestito a Palazzo Isimbardi, altre esposizioni a tema che con la vita dei libri hanno molto a che fare: il Padiglione del Libro con la mostra “La letteratura artistica”, un fondo dei libri antichi conservati presso la Biblioteca Universitaria di Urbino, la mostra sulla natura morta “La vita silenziosa delle cose” e, in alcune occasioni, i restauri in diretta eseguiti dagli allievi della Scuola del Libro e della Scuola di Conservazione e Restauro dell’Università di Urbino. Il Padiglione del libro si è concluso il 30 novembre 2015, ma “il doppio” della Libreria Saba è visitabile, per una proroga dovuta al successo dell’iniziativa, fino al 31 gennaio 2016.
Sgarbi, del resto, più volte ha sottolineato il suo amore per la Libreria Saba e così ne scrive nel suo libro “L’Italia delle Meraviglie”: “Ogni volta che ritorno a Trieste e vado nei locali di quella libreria, dove Saba non ha fatto soltanto lo scrittore e il poeta ma ha anche lavorato in senso stretto, sento che lì il suo spirito è vivo. In realtà, oggi, quella libreria è una biblioteca, soprattutto della memoria, un luogo in cui si ha la sensazione di sentire che il Poeta ancora vi abita”.
Realizzata a cura dell’architetta Barbara Fornasir e grazie alle foto di Marino Sterle, che sono state riprodotte a grandezza naturale sui pannelli che fanno da scenografia alla struttura, la ricostruzione di Milano suscita veramente l’impressione di trovarsi all’interno della libreria triestina, tanto che il suo stesso gestore e proprietario, Mario Cerne, mi dice, in una conversazione telefonica, di aver provato la sensazione di stare nel suo consueto spazio di Via San Nicolò. Le insegne, le colonne, i banconi, gli scaffali, le scale in legno per raggiungere i ripiani più alti, i quadri e le foto che ritraggono il poeta, il vecchio telefono nero, la vecchia cassa, i volumi in parte riprodotti e in parte reali e, in bella vista proprio come nel vero antro triestino, l’edizione microcalligrafica della Divina Commedia raccolta, per cantiche, in un’unica pergamena di modeste proporzioni: l’atmosfera è talmente concentrata, sospesa, immersa nel suo realismo di inizio Novecento che, a Milano come a Trieste, sembra che da un momento all’altro debba comparire il poeta.
È troppo presto per dire se questa operazione avrà un qualche impatto sulla reale libreria antiquaria di Trieste, e soprattutto se avrà un qualche risultato culturale piuttosto che solo e semplicemente turistico. Mario Cerne è ben felice che questo luogo, al quale ha dedicato come il padre Carlo tutta la sua vita, abbia ricevuto questo omaggio e tanto grande interesse, ma anche consapevole del fatto che l’attenzione culturale non è certo speculare a quella meramente mediatica. Anche mentre stiamo parlando al telefono, mi dice, due signore entrano, scattano distrattamente due foto, escono senza neanche un cenno di saluto. Come fanno tanti; anche perché la libreria è su tutte le guide e la Lonely Planet, la più popolare, consiglia di visitarla e di soffermarsi a fare due chiacchiere con il disponibile e gentile proprietario. Ma tra questo e il sentire e il comprendere quanto sia un luogo della memoria, quanto vi aleggi lo spirito del poeta e quello dei grandi scrittori giuliani e non solo che vi sostarono, ce ne corre. Così non sarà ozioso ricordare quello che da un punto di vista storico-letterario questo luogo ha rappresentato per Saba e, di riflesso, per la storia della letteratura italiana.
Quella che è oggi la Libreria Antiquaria Umberto Saba iniziò la sua attività nel 1904, avviata da Giuseppe Mayländer che, giunto a Trieste da Pola, acquisì la sezione antiquaria della libreria Quidde, che era stata, a sua volta, una sezione della celebre libreria Schimpff. La Libreria Mayländer non si trovava, all’inizio, nei locali di Via San Nicolò 30, ma vi fu trasferita dal proprietario nel 1914 quando, quasi di fronte alla sua bottega, si liberarono gli attuali locali, allora come ora proprietà della comunità ebraica. Dopo alcuni anni, a seguito di vicende personali, Mayländer lasciò Trieste per trasferirsi a Bologna e fu allora che cedette la sua attività a Umberto Poli, poi Umberto Saba, che disponendo di un piccolo capitale ereditato da una zia, rilevò la libreria per dare una dignità economica alla sua vita. È singolare che, come egli stesso annotò nel 1948, “in una magnifica giornata del giovane autunno subito dopo l’altra-ultima guerra… passando per caso vidi per la prima volta e dall’esterno il vero antro funesto. Ricordo anche di aver pensato, fra me e me: che orrore se il destino mi obbligasse a passare là dentro il resto della mia vita! Cinque giorni dopo, e sempre per caso, avevo comperata la Libreria. Si deve arguire da ciò che, qualche volta, i nostri timori, i nostri disgusti, i nostri “tutto” sì, ma quello “no” non siano, in profondità, che speranze, desideri, presagi che ci arrivano, in forma rovesciata, alla coscienza?”.
L’attività della Libreria Antica e Moderna, come si chiamò allora, ebbe inizio il primo ottobre 1919 e permise a Saba di raggiungere quella tranquillità economica che gli consentì di dedicarsi alla poesia. La libreria divenne presto, inoltre, uno dei punti di riferimento e di incontro della viva e fervida cultura triestina, inimitabile fermento di frontiera in cui si incrociavano, assumendo connotati del tutto originali e moderni, le istanze e le sensibilità culturali di diverse e inquiete identità nazionali: James Joyce, Italo Svevo, Giani Stuparich, Roberto Bazlen, il poeta dialettale Virgilio Giotti, Giovanni Comisso, Pier Antonio Quarantotti Gambini, il musicista Vito Levi e, da altri lidi, Carlo Levi, che intrecciò una lunga relazione trentennale con Linuccia Saba, unica figlia di Umberto, e Montale in occasione delle sue visite nella città giuliana.
Fu nella quiete di quel suo antro polveroso – ma con lo sguardo ben proiettato sulla sua Trieste e sulle pulsioni degli umani e del mondo, con un’esplorazione talvolta serena, talvolta affettuosamente disincantata o ironica, mai amara, della “verità che giace al fondo” – che Saba divenne uno dei poeti più originali e notevoli del Novecento. Quella bottega, oltre a dargli la possibilità di vivere, fu per lui un rifugio dal fascismo e dalla volgarità ridondante di certa propaganda culturale e politica, così lontana dalla sua indole introversa e riflessiva, dalla sua delicata poetica. Fatta di rari artifici di stile applicati, in modo sapiente e impercettibile, agli oggetti, ai sentimenti, alle presenze della vita più quotidiana e comune, a quella realtà di “trite” parole e di ordinarie situazioni che solo i grandi poeti sanno rigenerare e reinventare.
“È stato così che ho passato in quell’antro oscuro la metà circa della mia vita – scrive ancora nel 1948. – La passai in parte male e in parte bene, come l’avrei – è probabile – passata in qualunque altro ambiente. Ma la bottega di Via San Nicolò ebbe un grande merito, rappresentò per me, per tutti gli anni che durò il fascismo, un rifugio abbastanza al riparo dagli altoparlanti. Vivere della letteratura è, per un poeta, impresa quasi disperata; più disperata che mai essa mi appariva in quegli anni. Inoltre i libri antichi – dei quali apprendevo per la prima volta l’esistenza – non mi offendevano come i moderni, che tutti o quasi, avevano per me il volto odioso del tempo presente.”
Proprio in quel clima di violenta propaganda, nel 1938 a seguito delle leggi razziali promulgate da Mussolini, Saba, che era di origine ebraica, ritenne più prudente emigrare in Francia e cedere la proprietà a Carletto Cerne, l’impagabile commesso che aveva assunto nel 1924 e che, come egli scrisse in una dedica del 1948, “più coi fatti che colle parole mi ha aiutato a vivere”. Finita la guerra, nel 1947 Saba tornò in possesso di una quota parte della libreria finché, nel 1958, Carlo Cerne ne divenne unico proprietario comprando la quota ereditata dalla figlia del poeta, Lina.
Mario Cerne, figlio di Carlo e affettuoso custode di questo suggestivo spazio di memorie – di carta e di vita, pubbliche e intime, letterarie e umane – mi dice di ricordare Saba come una persona dal carattere umorale – talvolta gentile talvolta burbero, talvolta affabile talvolta irritabile – che lui, allora bambino, aveva capito di dover avvicinare in modo discreto e senza eccessiva invadenza. Un uomo burbero, umorale, ma nulla di più – sostiene – nulla di quegli eccessi che a volte, in una esasperata ricerca di originalità, alcuni biografi, anche triestini, sono andati a cercare e a forzare. Parla del rapporto tra Saba e il padre come di un’intesa tra padre e figlio, più che come una relazione con un commesso o un socio, e afferma che il padre Carlo aveva saputo trovare le strategie giuste, in modo naturale e no di certo calcolato, per rapportarsi alla personalità talvolta difficile del poeta. Una fedeltà, un rispetto, un affetto alla persona e un attaccamento al lavoro, quello di Carlo, che Saba sempre riconobbe in modo altrettanto affettuoso:
“Non credo di essere immodesto – scrive il poeta in una sua memoria – se dico che il mio intuito mi ha rare volte ingannato. Cito, come un esempio, il buon Carletto che, ventiquattro anni or sono, ho scelto di primo acchito fra non so quanti concorrenti, quasi tutti più brillanti, quasi tutti con maggiori titoli di lui; uno di questi aveva perfino al suo attivo – come mi disse appena si trovò alla mia presenza – venticinque spedizioni punitive; e tutti i clienti della Libreria possono dire oggi se mi sono allora ingannato”.
E così ancora lo ricorda, nel “nero antro sofferto”, negli struggenti versi di “Libreria antiquaria”, apparsi nella raccolta “Quasi un racconto” del 1951:
Illusione non ho che mi conforti
in questo caro al buon Carletto nero
antro sofferto. Un tempo al mio pensiero
parve un rifugio, e agli orrori del tempo.
Ma quel tempo è passato oggi, e la vita
con lui, che amavo. E di sentirmi inerme
escluso piango come tu piangevi
quando eri ancora un bambino e perdevi
tra la folla la madre tua al mercato.
Versi altissimi, che sanno mettere insieme, in poche concentrate immagini, l’amore e la nostalgia della vita che fugge, l’orrenda storia e il quotidiano che resiste, l’affetto e la gratitudine per chi fedelmente ci ha amato, l’inerme speculare debolezza dell’infanzia e dell’età che volge alla vecchiaia. Versi che ben si addicono, per certi aspetti, alla Libreria Antiquaria di Via San Nicolò 30, così discreta, così al riparo, così diversa dai patinati luccicanti megastore in cui si allineano gli innumerevoli rapidi titoli della nostra epoca.
Fa parte di una vita silente, la Libreria Antiquaria di Via San Nicolò, come quella delle cose che, più in vita silenziosa che in natura morta (Stilleben, in tedesco; Still-life in inglese), sono state accostate al suo doppio a Palazzo Isimbardi. Certamente fuori dal tempo veloce e dai non-luoghi della modernità, non nel senso di démodé tuttavia, piuttosto nella metafora dell’atemporalità della poesia, del silenzio raccolto che chi scrive, pur ispirandosi alle voci e al rumore del mondo, al momento della creazione cala intorno.
Con rigore, affetto, amabilità e competenza, Mario Cerne continua a far vivere e a custodire questo patrimonio triestino unico e raro che, restaurato dai tecnici della Biblioteca Marciana e posto sotto il vincolo del Ministero dei Beni Culturali, come luogo della memoria non dovrebbe più correre alcun rischio. Giacché è un posto speciale che ha accolto tanta storia letteraria e l’anima di un grande scrittore, sarebbe bello pensare che chi da qualunque luogo o da qualunque guida turistica ne varca la soglia, lo faccia riecheggiando qualche altrettanto speciale verso del poeta che l’abitò. Da quel riparato antro, per me ultimamente la voce di Saba riecheggia così:
Nel mio cuore dubitoso
sento bene una voce che mi dice
“Veramente potresti essere felice”.
Lo potrei. Ma non oso.
Fino al 31 gennaio 2015, la ricostruzione della Libreria Saba di Trieste a Palazzo Isimbardi sarà aperta, con ingresso gratuito, da martedì a domenica dalle 11 alle 19, in Corso Monforte 35, Milano.
La Libreria Antiquaria Umberto Saba di Trieste è e continuerà ad essere aperta, in Via San Nicolò 30, dal martedì al sabato. Orario: 9:00-12:30, 15:30-19:30.
Si ringraziano, per le foto e per alcune preziose informazioni, i curatori della ricostruzione della Libreria Saba a Palazzo Isimbardi, Arch. Barbara Fornasir e Mariano Sterle, Mario Cerne e Gianni Pistrini.