di Alessio Brandolini su Fabruaria, aprile 2005
Insopprimibili vizi (2004, AM Edizioni Marotta) è il convincente esordio in narrativa di Laura Ricci: ci troviamo di fronte a un romanzo che si svolge attraverso venticinque brevi e intensi racconti che a fine lettura si ricompongono, si incastrano l’un l’altro per formare un unico, esteso mosaico, per tessere una storia analizzata da diversi punti di vista, eppure compatta per via del forte legame con i personaggi femminili qui presenti, o il personaggio femminile visto in differenti situazioni e momenti della sua esistenza.
Vita quotidiana, vita sentimentale, vita intima e vita poetica. Non a caso Laura Ricci è già conosciuta come poeta e qui il lirismo in prosa ha momenti molto efficaci: “Ecco questa lingua di ghiaia e sabbia protesa in tutti i possibili blu del mare greco, nei suoi verdi liquidi cristalli” (dal racconto “Schegge di luce”). Solo un breve passo per fermarsi su due delle caratteristiche di questa scrittura: la musicalità e la costante presenza dei colori.
Altra peculiarità sta nel riuscire a dire in poche frasi molte cose, evitando i luoghi comuni, così come le pose d’originalità ad ogni costo. In generale quello che colpisce nel libro è l’abilità nell’accostare diversi fili (che poi si traducono in diversi registri di narrazione) che si tendono e danno forma ai vari paesaggi dell’anima, alle persone (marito, amanti, figlia, madre, amici e amiche), alla natura, alla casa, agli aspetti quotidiani, a tutti quei gesti (per esempio fare e bere il tè) che qui si trasformano in parole, in narrazione piana e precisa che rivela tutto d’una persona e, insieme, il senso della vita.
Ribadisco l’importanza del fare, dell’agire: non a caso il tempo verbale più usato è il presente ed è come se i testi si facessero nel momento stesso della lettura, in una forma colloquiale sì, ma che non sbava, non tracima e resta sempre lucida e raffinata.
Venticinque racconti di riflessioni sull’esistenza e sulla sensibilità femminile (“Sono moderna, libera, di nessuno”), ma anche sul coraggio d’affrontare la vita, di viverla giorno dopo giorno. Lo stile è classico, limpido, talvolta ironico o introspettivo, con gli aggettivi accostati l’uno all’altro senza l’uso della virgola, come a suggerire nuovi significati.
Giusto il titolo della raccolta (o dovremmo dire romanzo?): insopprimibili vizi, appunto, al plurale. E quindi non solo il vizio della scrittura che in queste storie è così importante: la scrittura coltivata con fierezza e costanza, la scrittura che poi si trasforma in testi poetici e in racconti. Ci sono altri vizi? il vizio sembrerebbe unico (chiaro che qui si parla di vizio in senso ironico) ed è quello di voler afferrare la vita meglio che si può, in modo intenso, partecipe, senza paure e blocchi, senza scivolare nella solitudine, nel distacco, per poi mirare a una maggiore pienezza, a una felicità più profonda e radicata, all’espansione del sé.
Si narra di giorni, di momenti talvolta vissuti con tensione, con turbamento, alla ricerca di qualcosa di nuovo, di autentico, di più consono ai propri sentimenti, ai propri desideri, ma c’è la paura di non farcela, di non riuscire a raggiungere il traguardo “dell’interezza, dell’autenticità, della comunicazione vera”.
Allora ecco che la scrittura (in prosa e in poesia) si fa vizio insopprimibile, sì, e anche faro che illumina le cose, lente d’ingrandimento per osservare con maggiore attenzione i dettagli, i particolari. Scrittura che si trasforma in ago e filo per ricucire gli strappi, gli addii, i vuoti generati dal dolore. Ma il discorso vale anche per la musica (suonata e ascoltata), o la lettura attenta, o la partecipazione intensissima – eppure calma e sicura – alla vita. Un romanticismo di stampo classico: illuministico, luminoso, illuminante.
C’è molto di autobiografico in questo libro, lo si avverte fin dall’inizio, anche per via della forma diaristica di molti pezzi che lo compongono. Sappiamo, infatti, che Laura Ricci si è molto spesa in politica, in preziose attività culturali, nel giornalismo… tutti “insopprimibili vizi” faticosi ma che affinano i sensi, donano conoscenza e la percezione del tempo che trascorre, danno altri occhi, altre mani per vedere e percepire. Per questo in Insopprimibili vizi sono così importanti le lettere, addirittura il racconto “Epistolario spiato” è una lettera d’amore che ne riassume altre tre e rimanda a quella voglia di tessere, di cucire insieme le parti, di fitto e costante dialogo, d’armonia con se stessa e con gli altri:
“Ho faticato ad alzarmi, come se saltare il piccolo muro che mi riportava nella strada fosse già tornare alla vita normale, al lavoro, all’esistenza consueta; come se almeno per una volta, io che nella vita ci voglio stare, di saltare quel muro non avessi minimamente voglia”.