di Laura Ricci
La straordinaria storia d’amore che legò per circa sei anni Anton Čechov e Olga Knipper è affascinante, e le moltissime lettere che in quel periodo si scambiarono costituiscono una vera tentazione, sia per chi ama gli epistolari, sia per chi ama raccontare storie d’amore, tanto che non sono poche le versioni teatrali tratte dalla loro fitta e appassionante corrispondenza. L’epistolario – una scelta di circa quattrocento lettere è stata pubblicata nel 1989 da Il Melangolo di Genova con il titolo Lo scrittore Čechov non ha dimenticato l’attrice Knipper – è purtroppo introvabile sul mercato.
Si incontrarono nel settembre del 1898 a Mosca al Teatro d’arte popolare di Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko, che avevano unificato le loro compagnie. Čechov vide la giovane Olga Knipper recitare nelle prove de Il gabbiano nella parte di Arkadina, e in quella di Irina ne Lo zar Fëdor Joannovič di Aleksej Tolstoj. Scrisse a Suvorin: “La voce, la nobiltà degli atteggiamenti e la sincerità erano tanto perfette che avevo un nodo alla gola. Se fossi rimasto a Mosca mi sarei innamorato di Irina”. E così accadde quando, dopo una prima corrispondenza tra drammaturgo e attrice, Anton e Olga-Irina si rividero varie volte, tra Jalta e Mosca, l’anno successivo; e divennero amanti, per poi sposarsi, con un matrimonio semplicissimo e quasi segreto, nel 1901.
Un amore dell’assenza il loro, come tanti; come furono, almeno per alcuni periodi, tutti i celebri amori che hanno prodotto epistolari altrettanto celebri. Ma per Anton Čechov e Olga Knipper “l’assenza” fu sempre: lui relegato e tutto sommato annoiato, nonostante il balsamo della scrittura, in campagna; lei a trasmettergli, esuberante, gli echi cittadini e la concitata vita del Teatro di Mosca di Stanislavskij, il tramestio serrato delle tournée a Pietroburgo, gli applausi e gli interrogativi sulla giusta interpretazione del testo, la fierezza di dare corpo e voce ai testi del suo amato autore e amante. In certo senso – come lei scrive – lui “moglie”, lei “marito”.
Il loro amore è teatro nel teatro: Zio Vania, Le tre sorelle, Il Giardino dei Ciliegi nascono dalla penna čechoviana tra la stufa, la malattia polmonare che incalza, il grigiore degli alberi spogli di Jalta; e si concretizzano negli spettacoli, negli entusiasmi, negli applausi che Olga, sua messaggera e sua interprete privilegiata, racconta nelle lettere e fa vivere a lui malato.
Čechov non voleva una moglie tradizionale, e a dire il vero non voleva proprio una moglie, aveva orrore di una possibile routine. Fu accontentato: Olga Knipper, poi Čechova, non avrebbe mai rinunciato al teatro per fare la moglie tradizionale.
Nell’assenza, tenuto a bada dall’ironia della penna, si espande il desiderio: invidio le vostre pantofole – lui le scrive – che vi vedono ogni mattina, invidio i due topolini che osservano la vostra bellezza dalle travi del vostro camerino. E lei, più diretta, esprime le sue esigenze, la sua nostalgia in modo singolare ma molto meno trattenuto, lo chiama a sé, lo raggiunge a sorpresa ogni volta che le è possibile.
Le lettere viaggiano, ma non bastano: nessuna lettera oggi, speravo in una lettera, perché non mi scrivete?, scrivete,scrivetemi! Non mancano i fraintendimenti, gli screzi, per di più fermati dall’impietosa, durevole parola scritta: quel che è scritto è scritto, lui dice. Ma la passione ha il sopravvento, l’imperfezione non annienta il gioco scintillante delle due intelligenze complementari.
Caro scrittore, cara attrice… Così Čechov e la Knipper- Čechova intestavano le loro lettere. E fu qui, in questa complicità la cifra del loro amore, fatto di attrazione di carne, di tenerezze, e molto della condivisione di un progetto comune: il teatro.
Viene da chiedersi se, insieme in una vita più assidua, si sarebbero altrettanto amati; se senza lettere l’amore sarebbe durato o, quanto meno, rimasto così appassionato e dolente. Ma è una stupida domanda. Così è stato, così si sono amati: da sempre la lettera è stata complice e galeotta; da sempre ha unito chi aveva cuore e intelletto.
Fatti, una volta, di lente, sporadiche anelate lettere, oggi intessuti di veloci serrate ma altrettanto desiderate mail, gli epistolari, sia pure con diverso linguaggio, non sono poi così lontani dalla nostra epoca.
C’è una costante in tutti gli epistolari celebri che, nella mia passione per le lettere, ho letto, riletto e accumulato: di solito è lei la più amorosa, la più verbalmente sfrenata; probabilmente è una modalità di genere, un’attitudine sessuata.
Ma Čechov sapeva di dover morire, come Olga Knipper scrive: la vita tu sembri sempre guardarla dalla finestra, è come se non ci fossi. Credere che la felicità non esista, che sia solo un’aspirazione, è un modo meno traumatico per potersene staccare.
La vita è già passata e ancora dobbiamo entrarvi: parola scritta di Anton Čechov. Anche in quel suo bizzarro morire, in quella coppa di champagne bevuta tranquillamente, ironicamente a pochi istanti dalla morte lieve e silenziosa (sopraggiunta il 15 luglio 1904), è forse la difesa di chi, per non attaccarsi troppo all’esistere, la vita l’ha sempre tenuta un poco a freno.