da Il Ponte Rosso, N. 107, Settembre 2024
Il resoconto di un appassionato itinerario africano. Una narrazione che rende vivi luoghi, culture e persone solo assai parzialmente noti a un lettore occidentale
di Sandro Pecchiari
Dall’ampia e variegata produzione di libri, quaderni, guide di viaggio in cartaceo e on line si possono apprendere sempre suggerimenti, percorsi, a volte anche fortemente alternativi, per personalizzare le mete da scegliere per il nostro prossimo viaggio in fieri, sperabilmente non una mera lista di landmarks irrinunciabili, ma ovvi. Quasi sempre ci si affida a viaggi organizzati che ci mostrano l’essenziale, ma non ci possono far vivere i posti nella loro autenticità. Il tempo è sicuramente tiranno e la tabella di marcia sicuramente deve essere rispettata. Organizzarsi i viaggi da soli comporta una maggiore capacità organizzativa, arrangiarsi e rendersi duttili e flessibili a possibili avversità o disagi non messi in conto, permette di entrare in contatto con molte più persone e spiegabilmente comunicare con loro in qualsivoglia lingua o escamotage. Il massimo sarebbe avere delle persone e dei luoghi di riferimento da considerare come base e rifugio, vivere con loro la quotidianità, apprenderne costumi, abitudini e difficoltà.
Questo libro, Senegal familiare (Robin Edizioni, 2024) il più recente di Laura Ricci, ci permette proprio di seguirla nel suo viaggio attraverso il Senegal.
Laura si definisce «una viaggiatrice minuziosa: intendendo con questo non un’esploratrice accurata e meticolosa, ma una viandante che procede per associazioni sensoriali o mentali e a piccoli passi. Non sono indispensabili, per me, le grandi distanze, e neanche le esperienze particolarmente esotiche: il mio moto lievita da una necessità più radicata del puro desiderio di ignoto. Viaggio per abbandonare il consueto; per […] liberare altri diversi strati di me; talvolta per approfondire il silenzio e fare vuoto e, sconosciuta tra sconosciuti, saggiare meglio chi sono e cosa voglio. […] Viaggio alla volta di un altrove, ma il desiderio, sulla traccia di qualche pulsione associativa, si schiude a casa; e a casa torna, dopo aver fatto dimora di altre case, per naufragare senza drammi in infinite nostalgie».
In questo caso è l’Africa che incuriosisce e affascina la scrittrice da decenni: dalla vittoria a piedi scalzi del maratoneta Bikila nelle Olimpiadi romane del 1960, ai riferimenti letterari di Senghor, che trasforma il viaggio nella terra d’Africa in danza «Ils nous disent les hommes du coton du café de l’huile – nous sommes les hommes de la danse, dont les pieds reprennent vigueur en frappant le sol dur».(Ci definiscono gli uomini del cotone del caffè e dell’olio – noi siamo gli uomini della danza, i cui piedi riprendono vigore calcando il duro terreno).
Questo viaggio è nato forse per caso (non è mai un caso) dall’incontro con Demba, con le sue difficoltà burocratiche per tentare di inserirsi con correttezza nel nostro paese, fino ad ottenere il tanto agognato permesso di soggiorno. Questo gli ha reso possibile questo viaggio per rivedere la famiglia dopo sette anni. Lui in questo lasso di tempo è diventato l’enfant sénégalais di Laura e lei la sua maman blanche. Affiancata da un perfetto compagno di viaggio che diventa un Virgilio, la guida, un discreto angelo custode, fonte di conoscenza sulla realtà del suo paese, con Demba Laura Ricci ha potuto scoprire non soltanto un territorio, ma un Senegal relazionale, profondo, lento, capillare, familiare. Anche un inaspettato periodo di riti funebri che ha tinto di dolore questo suo viaggio.
Laura ci racconta con precisione e a volte con divertita autoironia il suo adattarsi alle coordinate dei posti, attingendo alle sue pluriennali esperienze dagli alberghi a cinque stelle ai giacigli di fortuna. E ci descrive i posti con una precisione capillare, dal clima agli oggetti, alla mobilia, al primo caffè del mattino, nel giardino della casa, tra buganvillee fiorite, banani e fiori di karité, un caffè touba, miscela arabica dal gusto deciso, aromatizzata con chiodi di garofano e pepe di Guinea.
E poi c’è l’ampio respiro della preparazione minuziosa del cibo, dal piatto nazionale a base di verdure, pesce e riso con il tradizionale soffritto di cipolle, la thieboudienne, al più popolare, thiebouguinaar, di riso e pollo, ai croccanti fataya di carne o pesce, e le bevande che ci fa voglia di assaggiare oltre al touba: il bissap-maison, una sangria analcolica di ibisco, zenzero, limone, menta, arance, mele e ananas. E poi le stanze delle case in cui ha soggiornato e che l’hanno ospitata e la loro organizzazione, l’esterno, le strade formicolanti, le persone «composte e flessuose», i colori strabilianti dei loro boubou, in disordinata armonia, il tempo degli incontri in cui «non è il tempo che comanda l’uomo, ma è l’uomo che comanda il tempo». «Andare, venire, rivenire, accompagnarsi, ritornare; non importa quando, con quali lunghi giri, quante volte: comincio a imparare, e sempre più imparerò, che c’è un via vai incessante, senza fretta, senza logica, o meglio con logiche diverse in questo angolo di mondo».
E la Grande Moschea di Diourbel e la venerazione di Cheikh Ahmadou Bamba, fondatore della moschea di Diourbel e del Muridismo, la singolare dottrina islamica professata dai senegalesi nel loro paese e, attraverso la loro organizzata e capillare confraternita, ovunque nel mondo. «Prega come se tu dovessi morire domani e lavora come se tu dovessi vivere per sempre», spiega la particolare grazia di questo popolo e lo storico pacifismo di questo paese. Il credo muride è diverso da quello di altri paesi islamici e ben lontano dal fondamentalismo, proprio perché mediato da questo grande mistico sufi, sepolto nella moschea di Touba, in un mausoleo di modeste dimensioni, eburneo e dalla cupola d’oro.
Ricci descrive anche il rovescio della medaglia, quello della dura disciplina delle scuole coraniche o, peggio, della costrizione all’accattonaggio dei bambini talibé da parte di marabout senza scrupoli in luoghi dove il controllo è più difficile. Questa è una delle piaghe sociali, ombre di una religione dove, come in tutte le religioni, la luce dei nobili insegnamenti originari talvolta si appanna, e diventa funzionale o al piccolo perverso interesse personale o alla complicità, non meno interessata, con il potere politico. E non mancano nemmeno informazioni precise e non debordanti sulla scena politica non troppo quieta, tra autoritarismo e venti di contestazione, pesanti retaggi di schiavismo, oppressione, persecuzione e razzismo. Le contestazioni odierne vertono soprattutto sulla scarsa occupazione dopo gli studi, sulla subordinazione economica ad altri paesi e sulla mancanza di una reale democrazia. Le più recenti elezioni, concluse con la vittoria di Bassirou Diomaye Faye, fanno ben sperare in un rafforzamento delle istituzioni democratiche.
E sono le storie che Ricci ci racconta a renderci vivi luoghi solo parzialmente conosciuti in occidente: la ventosa Dakar, Bambey e Diourbel, l’isola di Ngor, Thiès, M’bour e Saly, Touba, l’isola degli schiavi, Gorée, simbolo e memoria della loro deportazione dall’Africa, Saint-Louis l’antica capitale, il deserto di Lompoul, il lago rosa Rëtba (il colore rosa in Wolof) vengono descritti come se fossimo lì con Laura per condividerne l’esperienza. E ci permettono di apprendere e di meditare sul colonialismo passato, ma anche e soprattutto sui giochi di potere attuali, dall’influenza cinese allo sfruttamento delle risorse, al turismo internazionale con i suoi soldi e i suoi guasti.
Cheikh Amadou Bamba, con i suoi numerosi e, in Occidente, poco conosciuti scritti, fa riflettere su «quanto poco si sappia nel mondo gli uni delle culture degli altri. Per quanto si faccia, una sola vita serve a conoscere ben poco», così prima o poi questo libro potrà ampliarsi in una ulteriore avventura nei luoghi che Ricci non ha ancora visitati e che noi conosceremo assieme a lei.
Nota sull’autrice
Da sempre viaggiatrice, Laura Ricci ha viaggiato e vissuto in molti luoghi e ha spesso trasfuso nelle sue opere l’esperienza sia spaziale, sia interiore del viaggio, declinandola in vari registri e modalità. Nei racconti di Dodecapoli (LietoColle, 2010), ad esempio, lo spazio esplorato è quello di dieci celebri piazze italiane e due città, strettamente coniugato alla vita e alla personalità di dodici protagoniste di età e indole diverse, così da tracciare un vasto affresco dell’animo femminile e, al tempo stesso, della storia sociale e delle trasformazioni dell’Italia del secondo Novecento. Viene invece declinato poeticamente, con un originale impianto strutturale, nel poema bilingue In viaggio. Grani di Saudade – Travelling. Beads of Saudade (La Vita Felice, 2015): un itinerario di 168 poemetti divisi in 14 stazioni, secondo una Via Lucis attraverso terre situate lungo la più antica direttrice di sfida, conoscenza e scambio, il mare. È lo spazio della dolorosa Via Crucis dei migranti in Rose di pianto (La Vita Felice, 2017), asciutta e innovativa silloge di poesia civile che alterna versi e fatti di cronaca. E diventa spazio soprattutto interiore, un altrove da seguire e inseguire incessantemente per la propria autenticità e libertà, nel saggio Sempre altrove fuggendo. Protagoniste di frontiera in Claudio Magris, Orhan Pamuk, Melania G. Mazzucco (Vita Activa, 2019), che nella conclusione dedicata al viaggio nel Congo profondo di Annemarie Schwarzenbach, protagonista della biografia romanzata di Mazzucco Lei così amata, sembra quasi una premonizione del particolare viaggio che anche l’autrice si troverà ad affrontare in un piccolo ma rappresentativo angolo di Africa subsahariana.
Laura Ricci
Senegal familiare
Robin edizioni, 2024
pp. 114, euro 14,00