di Gabriella Musetti su Laboratori di Poesia
Laura Ricci riesce nella non comune capacità di connettere la presentazione di una serie di atti drammatici e violenti della nostra contemporaneità, con la poesia, e con le immagini cariche di letteratura e di simboli come le rose. Ci consegna un testo per nulla retorico, né intriso di quella languente sensibilità che tocca tanti commenti e tante prove poetiche che si rincorrono su questi temi, perché episodi di orrore imprevisto o di crudeltà inimmaginabile, purtroppo sono assai ricorrenti nella nostra società contemporanea. Quello di Laura Ricci è un testo forte, asciutto, in cui la testimonianza del dolore e dell’orrore è tenuta a bada da un segno di misura, dalla sua capacità di scrittura sobria, e dalla lunga formazione di giornalista in grado di disporre sulla carta le informazioni separate dalle emozioni e dai commenti.
Spesso, nella nostra contemporaneità così pervasa da distruzioni, stragi e fatti drammatici di diversa natura e circostanze, ma tutti accomunati da una martellante e invasiva proliferazione di immagini, video, commenti umorali, rimbalzi di notizie e prese di posizione sui social, attacchi verbali violenti che manifestano una rabbia incontrollata, siamo assaliti da un senso di frustrazione che vuole ottundere il nostro senso critico e un approccio razionale alla realtà, facendoci travolgere da quelle “passioni tristi” che tendono a uniformare e generalizzare in un sentimento indistinto le nostre opinioni.
Tutto nella confusione estrema tra verità e invenzioni, interpretazioni e commenti, perché mescolando piani di realtà differenti e parziali, cause remote o immediate si accresce l’assuefazione e si induce un sentimento di paura ingovernabile. La responsabilità dei media in questo campo è molto grande, e la dirittura morale a cui sono chiamati i professionisti dell’informazione dovrebbe essere garantita.
Laura Ricci si pone il compito di dire poeticamente, componendo un testo di rara forza: qualcosa che lasci il segno. E lo fa attraverso la poesia e attraverso una documentazione essenziale sui fatti proposti all’attenzione, offerta senza interpretazioni o commenti. Come l’autrice afferma nella Introduzione: «il deviare delle interpretazioni e la ridondanza del linguaggio allontanano dal semplice, crudo, terribile fatto; dall’atto per quello che spietatamente è. Per questa ragione, e non solo per orientamento di lettrici e lettori, dopo la parte poetica ho voluto riportare in modo breve e scarno, senza connotazioni o giudizi, i fatti a cui i versi si riferiscono: i fatti, gli atti, narrano da sé e di sé».
Scrive una sorta di composizione sacra sul diffuso orrore planetario con cui conviviamo, un oratorio, un salmo responsoriale, in cui si alternano scarne poesie su alcuni eventi tragici e terribili della nostra contemporaneità presi a esempio nel continuum cupo della nostra precaria esistenza, e la nuda cronaca che li documenta. Il tutto in un fitto colloquio con le immagini di Giuliano Baglioni che ritraggono molteplici rose dipinte accostate a specchio alle parole. Composizioni poetiche e immagini a creare un circuito virtuoso che consente di guardare oltre le atrocità incombenti, oltre l’assuefazione stessa, “al di sopra della spina”, per usare le parole di Paul Celan poste in esergo al libro e richiamate sulle pagine come una litania a ogni nuovo frammento o episodio proposto.
Punto centrale del lavoro è proprio il famoso Salmo di Paul Celan, risposta alla negazione della poesia dopo il massimo orrore di Auschwitz, come aveva affermato Adorno. È la rivendicazione di una scelta di poesia che si fa carico del dolore, dell’ orrore indicibile, non lo estirpa dall’umano, ma non lo estetizza, non lo traveste con immagini confortanti o false, che ne possano alterare la condanna. È una scelta etica e necessaria alla nostra sopravvivenza come esseri umani, racconta la nostra storia passata, e ancora, purtroppo, il nostro presente.
Il tema della rosa rappresenta una simbologia molteplice, sacra e profana, ricchissima di esempi e valori culturali. In questo lavoro poetico diviene un linguaggio esso stesso, un archetipo, nel senso che fin dal titolo Rose di pianto avvia i testi su un percorso che tocca l’interiorità più profonda, quello spazio oscuro dove si radica la sensibilità. Non si può dimenticare in questo contesto che Laura Ricci è fine traduttrice di molti poeti e poete che sulla rosa hanno detto molte cose, come l’amata Emily Dickinson e William Butler Yeats.
Un libro che è «rischio e scommessa», sempre seguendo le parole dell’autrice, compiutamente risolti: si può parlare dell’orrore che ci circonda e non subirlo nell’indifferenza o nella assuefazione, senza estetizzarlo e senza rendere retoriche le parole e le immagini.
Gabriella Musetti
Laura Ricci, Rose di pianto. Dediche in versi con rose pittoriche di Giuliano Baglioni, Milano, La Vita Felice, 2017.