Oggi Gabriel García Márquez avrebbe compiuto 90 anni. E li compie comunque, perché la sua ineguagliabile scrittura continua a farlo vivere con lettrici e lettori.
Per ricordarlo, dedico al grande Gabriel un piccolo racconto tratto dal mio romanzo puzzle Insopprimibili vizi (AM Edizione Marotta, 2004): tra insopprimibili vizi, la protagonista compie un itinerario di autenticità femminile; e uno degli insopprimibili vizi è, come per la marqueziana Angela Vicario, scrivere lettere d’amore, con o senza risposta.
Nel vento del patio
Ho visto “Cronaca di una morte annunciata” qualche notte fa – i miei risvegli notturni… è di notte, a ore impossibili che proiettano le vecchie pellicole – film per una seduta, per me piuttosto rara, di televisione. Mi ha sconvolto la fine, come già mi aveva profondamente toccato la conclusione del piccolo libro.
Spesso mi sono chiesta: “Perché Baiardo non apre mai quelle lettere di anni, perché non vuole conoscere l’amoroso discorso di Angela? Perché, quelle lettere di certo appassionate sincere, le riporta con sé e le restituisce, nel momento del suo tardivo atto d’amore, sigillate intatte?”
Le risposte potrebbero essere mille, tante per tante diverse chiavi di interpretazione.
Per punirla? Per non rischiare l’abbandono e la tenerezza?
Per condurre a termine la necessaria vendetta, il non cedimento che certa società, a ogni uomo cosiddetto d’onore, richiede? Per provare fino a quando Angela, pur senza risposta, scriverà; quanto, pur senza premio, incondizionatamente ama?
Per paura? Paura di sé, delle parole di lei, certo pericolose sconcertanti.
Per timore di dover interrompere le amare mute pur presenti tracce? Per timore di non saper tessere una risposta all’altezza delle circostanze – della donna – una risposta adeguata?
Me le sono chieste spesso le ragioni di questo strano silenzio letterario.
La risposta più saggia e ironica, la più probabile, è che forse l’autore voleva che milioni di lettori, di lettrici, su questo perché si interrogassero. Trovata narrativa magistrale, felice.
Ma la risposta che in questo momento mi sento di dare, oggi che dopo tanti mesi di dolore, dopo tante lacerazioni, dopo la fine di un amore, dopo lettere che neanche io scrivo più – oggi che almeno per un tozzo di diario trovo la voglia di riprendere in mano la penna – è diversa, forse del tutto lontana dalle intenzioni dell’autore… Comunque mia, legittima.
Forse Baiardo non legge mai quelle lettere perché sa di non possedere le parole giuste per farlo, perché a una lettera d’amore femminile nessun uomo può, sulla stessa lunghezza d’onda, rispondere. Gli uomini hanno gesti forse, non ancora parole libere inaudite. Come un linguaggio limitato che, al nostro discorso affettivo, rifiuta di aderire, di espandersi; come uno spazio troppo logoro in cui il suono non riesce a scegliere, a orientarsi. O un silenzio, una sospensione nuova dove nessun balbettio osa ancora pronunciarsi.
Penso – come pensavo all’epoca in cui lessi la storia – alle molte mie lettere che un uomo spezzava nell’aria e nell’acqua, aperte ripetutamente percorse e poi – per prudenza – impietosamente distrutte; ai piccoli frammentari omicidi di me che così inesorabilmente ha consumato.
Penso alle mie parole disperse, senza echi di ritorno.
Penso alle molte lettere scritte a un giovanile fidanzato, divise per anni e impacchettate con ordine, da lui conservate con cura in un cassetto. Lettere quasi adolescenziali che non rileggerà, che non sono più me, che tanto varrebbe distruggere.
Lettere a cui donò lettere con puntuale diligenza, con la quotidianità di un discorso preciso privo di pathos. Lettere a cui rispose senza in realtà mai rispondere.
Penso alle poche, scritte a un altro amore, che nella loro libera autenticità forse lo infastidirono anche; che, al pari delle altre, non mossero mai la penna dell’interlocutore privilegiato.
Ho scritto tanto nella mia vita, mari calmi o tempestosi d’inchiostro… eppure Io, una lettera d’amore, forse la aspetto ancora, non l’ho mai ricevuta.
Sì… Io, con la lettera maiuscola una volta tanto – Io – con la lettera maiuscola, come lo scrivono gli inglesi.