Dediche in versi di Laura Ricci con rose pittoriche di Giuliano Baglioni (11 tavole a colori)
Postfazione di Gabriella Musetti
Edizioni La Vita Felice, marzo 2017
Questo lavoro nasce dalla convergenza tra alcune riflessioni che stavo facendo sulla possibilità di dire poeticamente tratti crudeli della società contemporanea e l’esperienza delle Residenze Estive di Duino, che con altri poeti, poete, scrittrici e scrittori mi sono trovata a condividere nel giugno 2016. Lo stimolante tema di quella diciassettesima edizione, Confini, vecchi e nuovi, partendo dai noti interrogativi di Adorno e di Celan dopo l’orrore del nazismo, e più recentemente di Cavarero sulla capacità della lingua di nominare efficacemente la violenza sull’inerme, ha voluto aprire un confronto e ulteriori pensieri proprio sull’inadeguatezza, o perché no, sulla possibilità della parola a raccontare, oggi, il presente.
Il prezioso dialogo con altri e altre che, da diverse esperienze e punti di vista (letterario, sociologico, filosofico, psicologico), si sono confrontati sull’impeto violento di una contemporaneità dalle innumerevoli sfaccettature, oltre che sulla complessità della sua decifrazione e del suo contenimento etico, mi ha permesso di avanzare nell’impasse delle mie interrogazioni e di tentare il rischio e la scommessa di questo libro.
Dato per assodato che la poesia è sempre politica, se non altro perché sconvolge l’ordine del linguaggio e scompiglia il racconto abituale del quotidiano, mi sono convinta che solo il segno poetico può fissare con forza in una qualche metafora di memoria lo straripare, il veloce fluire, e dunque anche l’immediato svanire, di quanto di violento e orribile di giorno in giorno sull’inerme accade. Il Salmo di Celan – quanto di più alto e compassionevole, sull’inerme, sia mai stato scritto – mi ha suggerito di dedicare, all’inerme, rose di pianto cresciute con il concime della parola, scegliendo alcuni casi esemplari della contemporaneità: né più atroci né meno atroci di tanti passati orrori della storia del Pianeta, ma non per questo da accettare o avallare. La vera novità del presente è che risultano immersi in un flusso temporale ormai fuggevole e veloce, affollato di fitti e rapidi particolari e che, proprio per questo, sono suscettibili di scomparire nel brusio e nella successiva distrazione del chiacchiericcio di fondo.
Lavorando di documentazione, mi sono resa conto che anche l’abbondanza di notizie sull’oggi rischia di far perdere la percezione reale dell’orrore. E non solo perché è difficile distinguere il comprovato dall’inventato, ma perché il deviare delle interpretazioni e la ridondanza del linguaggio allontanano dal semplice, crudo, terribile fatto; dall’atto per quello che spietatamente è. Per questa ragione, e non solo per orientamento di lettrici e lettori, dopo la parte poetica ho voluto riportare in modo breve e scarno, senza connotazioni o giudizi, i fatti a cui i versi si riferiscono: i fatti, gli atti, narrano da sé e di sé.
Non aggiungo altro: un libro, specie se vuole abitare la poesia, è tale se silenziosamente lascia il sentiero dei significati a chi lo percorre. Solo qualche ringraziamento: a Gabriella Musetti, da tanti anni infaticabile animatrice delle Residenze Estive di Duino; alle meravigliose persone, “vecchie e nuove”, che a Duino e dintorni ho potuto incontrare; e al mio compagno–giardiniere Giuliano Baglioni, che da tempo desiderava coltivare rose con me, e che ha unito la pietas del suo segno pittorico a quella della mia parola per queste rose di pianto. Umilmente, ma come nell’attitudine del canto di Celan: «al di sopra, ben al di sopra della spina».
Laura Ricci
11 settembre 2016
Per le donne yazide vendute e stuprate
c’è una teologia dello stupro nell’avanzare
guerresco del maschio – calpestare bruciata
la terra di conquista celebrare come rito dettagliato
la profanazione di un corpo di donna – miscredente
che si spacchi anche l’anima è impresso
nel silenzio di un grido soffocato inudibile
schiava sessuale
contratto di vendita
regole minuziose da rispettare –
non importa se sei una bambina
stupro come diritto riconosciuto
come dovere come preghiera
come prossimità al Dio vero –
non importa se si arruolano per penetrarti
trasportate soppesate denudate
osservate al mercato comprate –
se vuole prima di farsi saltare in aria
il padrone ti può emancipare
che resti piagata la tua anima non è inciso
sul certificato di affrancamento
Notizia del 14 agosto 2015
Rukmini Callimachi ha scritto sul New York Times un articolo che racconta la metodica pianificazione della schiavitù sessuale delle donne yazide da parte dell’Isis. Gli attacchi contro gli yazidi, iniziati nell’estate del 2014, due mesi dopo la presa della città irachena di Mosul, non avevano tanto l’obiettivo di occupare nuovi territori, quanto quello di realizzare conquiste sessuali, sancite da contratti di vendita autenticati dai tribunali islamici e da trentaquattro pagine di manuale sulle regole di gestione delle schiave. Le donne yazide vengono riunite dai miliziani a centinaia e trasportate in città dell’Iraq e della Siria per essere messe in vendita. L’istituzionalizzazione dello stupro viene usata anche come strumento di reclutamento, specie verso uomini che provengono da società musulmane molto conservatrici dove il sesso viene considerato un tabù e frequentare donne fuori dal matrimonio è proibito dalla legge. Il padrone può cedere o rivendere la schiava, o in casi particolari lasciarla libera con un “Certificato di emancipazione” firmato da un giudice dello Stato Islamico. Lo schiavismo sessuale ripristinato dall’ISIS sembra riguardare preminentemente le donne della minoranza yazida, ma il manuale autorizza lo stupro anche di donne cristiane o ebree quando si trovano su territori conquistati.
Dalla postfazione di Gabriella Musetti
Ci sono alcune parole che mi hanno colpito nella presentazione di Laura Ricci per il suo ultimo lavoro Rose di pianto: la consapevolezza che l’accumularsi continuo e pervasivo di notizie su un evento tragico o drammatico della contemporaneità spesso ne fa “perdere la percezione reale dell’orrore”. Una specie di ottundimento di fondo trascina la nostra sensibilità e il nostro sguardo critico sulla realtà, tanto sono diffuse immagini, parole, video che mostrano fatti terribili, inducono ipotesi inimmaginabili, e poi vengono riassorbiti dalla quotidiana “distrazione”. Tutto questo nella sottile separazione, a volte nella confusione tra verità e invenzioni, interpretazioni e commenti, come se mescolando indiscriminatamente piani di realtà differenti e parziali, cause remote o palesi si venisse a una qualche comprensione più autentica, capace di chiamare in causa la nostra stessa ragione umana, quando invece si accresce l’assuefazione. Grande è la responsabilità dei media in questo campo, la dirittura morale a cui sono chiamati i professionisti dell’informazione.
Laura Ricci chiama a sé il compito di dire poeticamente, componendo un testo di sofferta forza: qualcosa che lasci il segno. E lo fa attraverso la poesia e attraverso una documentazione essenziale, offerta senza interpretazioni o commenti. Scrive una sorta di composizione sacra sul diffuso orrore planetario con cui conviviamo, un oratorio, un salmo responsoriale, in cui si alternano scarne poesie su alcuni eventi tragici e terribili della contemporaneità presi a esempio nel continuum cupo della nostra precaria esistenza, e la nuda cronaca che li documenti. Il tutto in un fitto colloquio con le immagini di Giuliano Baglioni che ritraggono molteplici rose dipinte accostate a specchio alle parole. Composizioni poetiche e rimandi di parole altre, di immagini, a creare un circuito virtuoso che consenta di guardare oltre le atrocità incombenti, oltre l’assuefazione stessa, “al di sopra della spina”, per usare le parole di Celan date in esergo al libro e richiamate come una litania a ogni nuovo frammento o episodio proposto.
Punto centrale del lavoro è proprio il famoso Salmo di Paul Celan, risposta alla negazione della poesia dopo il massimo orrore di Auschwitz, come aveva chiesto Adorno. È la scelta di una poesia che si fa carico del dolore, dell’indicibile orrore, non lo estirpa dall’umano, non lo estetizza, non lo traveste sotto immagini confortanti o false. È una scelta etica e necessaria alla nostra sopravvivenza come esseri umani, che racconta la nostra storia passata, e ancora, purtroppo, il nostro presente. […]
Che tu sia lodato, Nessuno.
È per amor tuo
che vogliamo fiorire.
Incontro a
te. (Paul Celan)