L’anima di Orvieto
di Elvira Federici su Leggendaria, N. 135, maggio 2019
Cosa chiederemmo a una guida che non serva a fornire indicazioni per ristoranti e hotel, accompagnate da essenziali informazioni sulla storia e sull’arte? Ameremmo entrarci per via di racconti, attraverso cui assaporare la luce, l’odore, la memoria, la mappa della città e di chi la abita. Della città e di chi la abita: dove la congiunzione segnala l’unicum ambivalente e danzante di mura e parole, di percorsi e ricordi, di dati storici ed esperienze. Un paesaggio come lo immaginerebbe Gregory Bateson (non so se alle autrici, alla curatrice è venuto in mente), frutto del riconoscimento di una connessione complessa, di una relazione co-evolutiva tra lo spazio e chi lo abita. Tra i luoghi e chi li significa. Una guida, dunque, diversa, sorprendente, “sbilanciata”, si dice nell’introduzione, che nasce da un reciproco adottarsi, della città e dei suoi abitanti. Così che il luogo parla di chi lo racconta almeno quanto la descrizione o la ricostruzione illustra la città, le sue pieghe, le sue ombre, il suo respiro; la sua anima, in fondo.
Chi può dire infatti qual è il confine del vivente? Davvero solo la nostra pelle lo definisce, per ciascuno, ciascuna? E se il confine fosse quel muro sgretolato, quel vicolo pieno di fiori, quella rupe maestosa, quel duomo di luce e magari anche oltre? Dove ho termine, io? Nella misura delle mie braccia, nel limite del mio sguardo? E dove abita, in me la storia di quello spazio, la memoria che mi identifica, per quanto inquietamente?
«Una città descritta da un nativo somiglia sempre a un libro di memorie, perché non invano vi ha trascorso la sua infanzia», dice Walter Benjamin che ricorre citato nel libro. Una città descritta da un/a nativo/a, racconta un sentimento dell’esserci. Guida sentimentale, dunque: i sentimenti sono cangianti e contraddittori ma qual è quello che tutti li tiene, sensati, se non il sentimento della relazione? Quello che lega gli abitanti tra loro e loro con gli spazi e gli spazi con la memoria individuale e collettiva e la memoria con la storia, in un continuo riposizionamento, in una visione caleidoscopio: il trascorrere quotidiano, un’incessante attribuzione di significati che rappresentano una polifonia da punteggiare, semmai, con le parole che illustri viaggiatori hanno lasciato come memoria del loro transitare in una città tanto spettacolare.
Frutto di un laboratorio di scrittura di un anno, tenutosi presso l’Unitre di Orvieto, questa Guida sentimentale di Orvieto raccoglie 21 voci e tre contributi extra. Nella prima sezione: La mia anima è qui, si avvicendano contributi plurali, niente è nell’ordine che pretenderebbe una mappa; la gerarchia non è costruita sulla monumentalità: non troverete asterischi di attribuzione di valore, utili al turista frettoloso, che vuole consumare subito quello che viene considerato il meglio. No, ci sono passeggiate e singole, oscure vie; ci sono eventi caratterizzanti, come Umbria Jazz Winter, ci sono biblioteche e mercati, c’è il teatro, c’è il Miracolo. Luoghi narrati, descritti con cura, documentati. Ma se dipani il filo che attraversa quegli spazi, all’altro capo trovi la voce che sta raccontando di sé dentro-la- città. Arriva anche sulle pagine, l’esitazione di quella voce, la risata leggera, il sospiro.
La sezione Care memorie ci immerge invece proprio nei momenti, nelle storie private o collettive, nel flusso della memoria in cui si evocano non più i luoghi ma eventi, figure, donne come Eloisa Manciati, che li hanno abitati trasformandoli.
Le Spigolature eccellenti raccolgono contributi più eruditi sulla storia e l’antropologia della città.
La guida sentimentale è dunque perfetta anche per chi della città voglia saperne di più: ogni ricordo, ogni racconto è comunque corredato di una ricca bibliografia mentre i racconti sono punteggiati di schede descrittive e di contestualizzazione storica. E percorrendo la guida, proprio come percorrereste la città, vi imbatterete in immagini che amplificano i racconti e, persino, nella poesia.