Di libertà e d’amore. Intervista di Loredana Magazzeni su Letterate Magazine
Laura Ricci, mi piacerebbe sapere da te se nella traduzione dei sonetti di Elizabeth Barret Browning hai seguito un criterio di fedeltà al testo o di poetica: ti sei immedesimata come poeta nella sua poesia?
Ho sicuramente seguito un criterio di poetica, nel senso che rendere questi sonetti di Elizabeth Barrett Browning da poeta a poeta – e lo affermo anche a conclusione del mio saggio introduttivo – è stato lo scopo primario della mia traduzione. Ma personalmente penso che, quando ci si accinge a tradurre poesia, sia proprio questa l’unica fedeltà possibile rispetto all’originale. Non a caso, sempre nel saggio, cito alcune tesi espresse da Walter Benjamin nel suo scritto Il compito del traduttore, elaborato mentre si apprestava a tradurre i Tableaux Parisiens di Baudelaire, e posto come prefazione alla sua versione in tedesco di questa opera.
Concordo pienamente con Benjamin quando afferma che tradurre poesia non è semplicemente compiere un’operazione comunicativa tra due lingue, ma “trovare quell’intenzione rispetto alla lingua di arrivo dove si ridesti l’eco dell’originale”, così che la lingua della traduzione possa, anzi “debba” lasciarsi andare nei confronti del senso con lo scopo di dare voce non a un’intentio di restituzione, ma alla specifica intentio di armonia e di integrazione alla lingua in cui l’intenzione del senso deve essere comunicata. In parole più semplici, Benjamin insiste sulla necessità del comunicare l’intenzione e lo stile dell’opera poetica, prendendosi quelle necessarie libertà per restituire l’essenza altrimenti intraducibile della pura lingua della poesia.
È quello che ho cercato di fare con questa mia traduzione dei Sonnets from the Portuguese partendo da un ripetuto e accurato ascolto della pura lingua di E.B.B., e cercando poi di ricrearne l’intenzione e lo stile a forza di accortezze semantiche, linguistiche, stilistiche, ritmiche, di versificazione. Per fortuna l’italiano è una lingua molto ricca semanticamente e non troppo costrittiva nelle sue strutture, e questo permette di muoversi con un certo agio per ricreare, appunto, la “pura lingua” di un testo poetico. Il titolo del mio saggio, Di libertà e d’amore, è ambiguo: non allude solo alla libertà che E.B.B. si prende, sia nel vivere l’amore infrattivo per Browning sia nel rinnovamento della tradizione canonica dei canzonieri, ma anche alla necessaria libertà che occorre prendersi nella traduzione per ricreare, con amore e rigore, l’interezza della lingua di un testo poetico.
Quando dici giustamente che ogni classico va ritradotto, non avendo io letto la traduzione della Virgillito del 1986, mi puoi dire come ti era sembrata?
Ogni classico va ritradotto, periodicamente, perché continui a interagire con le epoche, non solo rispetto alla lingua e al linguaggio, ma anche ai contenuti, che a seconda dell’epoca possono essere recepiti e interpretati in modo nuovo e diverso. La traduzione di Rina Sara Virgillito è stata finora l’unica traduzione in italiano fatta da chi non solo traduce, ma anche scrive poesia. E in ogni caso, le buone traduzioni non si escludono tra loro, giacché le lingue sono duttili e rappresentano modi diversi di rendere un testo. Considero quella di Virgillito un’ottima traduzione, tuttavia un poco aulica dal mio punto di vista, difficile per un lettore o una lettrice comune dei nostri tempi: forse anche per la costrizione che la traduttrice si è data, ossia conservare la struttura metrica del sonetto petrarchesco scelto da Elizabeth e l’endecasillabo. “Pur a svantaggio di una fedeltà letterale al testo”, dice lei nell’introdurre la sua traduzione; e del ritmo e della musicalità dei versi di Barrett, mi sento di aggiungere io, e di alcuni accenti ironici, familiari e gioiosamente eccessivi che pervadono il pur colto discorso di Barrett. La mia scelta è stata esattamente l’opposto: ho sacrificato l’endecasillabo per liberare il ritmo e la musicalità e, quando si manifestano, l’ironia, la gioia e lo stupore della poeta.
Quali sono stati i problemi traduttologici, i passi oscuri come sono stati resi?
E.B.B. è stata una presenza talmente precoce e costante nella mia vita, tanto ho letto di direttamente scritto da lei o da altri e altre su di lei, da poter dire di non aver avuto particolari problemi di traduzione, una volta segnate le coordinate tra cui muovermi. Il problema, semmai, è stato scegliere le coordinate. Anch’io ho provato a conservare la struttura del sonetto petrarchesco, e a conservarlo non solo nel metro ma anche nelle rime, ma data la brevità e l’essenzialità della lingua inglese rispetto a quella italiana ho dovuto accantonare l’idea: qualche volta il risultato era degno, il più delle volte no.
È impossibile conservare in un endecasillabo italiano la ricchezza semantica e il significato che sono racchiusi nell’equivalente inglese, e la costrizione formale induceva a rime forzate o banali. Tutto questo significava tradire completamente l’immaginazione lussureggiante e l’innovatività formale del canzoniere di Barrett. Così ho deciso di scegliere una forma più libera e contemporanea, lavorando con versi dalle dodici alle quattordici sillabe che mi permettessero di scegliere un lessico più aderente all’intenzione di E.B.B., e cercando di ricreare l’innovatività, la musicalità e il ritmo del suo stile tramite gli arditi enjambment che lei usa e rime non necessariamente baciate o alternate ma comunque presenti, anche nelle varianti delle rime imperfette e interne. I passi oscuri non sono stati molti, se ben ricordo giusto tre, e sono stati risolti riflettendo con l’amico Sandro Pecchiari, poeta e traduttore esperto di lingua inglese, sui vari e possibili significati delle metafore in questione e delle espressioni usate per renderle.
Ci sono all’interno citazioni da lettere o da altre opere che tu hai notato e messo in luce?
Ci sono molti rimandi e riferimenti, sia alle lettere che Barrett e Browning si scambiarono più o meno contemporaneamente alla stesura dei Sonetti, sia a passi di opere della letteratura inglese e di altre letterature che in parte ho potuto notare personalmente e in parte per l’esegesi critica compiuta, ad esempio, da Biancamaria Rizzardi Perutelli sonetto per sonetto. Prescindendo dalle lettere e per fare qualche minimo esempio: nel Sonetto I viene citato Teocrito, di cui è ripresa anche l’immagine, espressa dal poeta nell’Idillio XV, dei “dolci, cari e desiderati anni” che riserverà il futuro (in Teocrito non “anni” ma “ore”); nel Sonetto VII, rispetto al potere salvifico e nobilitante dell’amore, come del resto in altri, vi è un riecheggiamento della Vita Nova di Dante; a Shakespeare rimandano vari passi, come nel Sonetto XIX il verso “Ha il Rialto dell’anima i suoi venditori” (Il Mercante di Venezia), o addirittura il canto d’amore del celebre Sonetto XLIII “Come ti amo, lascia che i modi conti” (Goneril che afferma il suo amore in Re Lear); e poi ancora l’Odissea, Ovidio, Milton, Spenser, Sidney, Tennyson e altri.
Resta però da vedere, a mio avviso, quanto sia consapevole e quanto attribuito da un eccesso della successiva esegesi critica. Perché è certo che, come accade anche nella contemporaneità, Barrett è frutto di un’immensa cultura che ha accumulato e di un’epoca che ha vissuto e che dunque inevitabilmente, e talvolta anche non deliberatamente, riecheggia. Quel che conta è che questo accade senza che intralci o si avverta, senza alcuna pedanteria o pesantezza e, soprattutto, con una prodigiosa personalissima innovatività.
Di libertà e d’amore. Elizabeth Barrett Browning. Sonetti dal Portoghese.
Introduzione, cura e traduzione di Laura Ricci, Vita Activa Edizioni, Trieste, 2020